
Infine, dopo lunghi ed estenuanti giorni di cammino, giungemmo a Bari, traversando l’autostrada dell’amore.
Ridotti com’eravamo, nessuno aveva avuto la voglia o il coraggio di lasciarci salire; così furono giorni di marce infinite alternate a lunghe soste e bestemmie verso chi, rasente ai fianchi, sfrecciava diritto, insensibile al nostro patire.
Ristorava unicamente il passare dal giorno alla notte e dalla notte al giorno e avere solo acqua intorno, e apprezzare lo spettacolo della luce e nella luce lasciare che l’occhio stanco si muovesse automatico e lento lungo le curve delle scure matrone d’africa che, dritte e nude come statue, si ergevano sole sotto il calore feroce, su piattaforme di gomma, cemento e sangue.
Gli ombrelloni, troppo piccoli, nascondevano sotto un velo d’ombra verde, la testa e il busto, lasciando che le cosce ardessero sode, percorse da strisce di sale.
Non una voce ci venne rivolta né mai noi interpellammo alcuna su questa lingua d’asfalto che separa i due mari.
Fu così che ci ritrovammo a Bari.
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